Velia Sassetti e Antonio Parisi
Intervistati dalla nipote Aminata Cisse.
V: Io so’ nata [1947] in un paesino vicino Montalcino di nome Castelnuovo dell'Abate. Quand'ero piccina si stava io, la mi’ mamma, il mi’ babbo, la mi’ sorella Vanna e il mi’ fratello Vasco in una casina sopra la locanda dove lavorava la mi’ mamma. La mi’ sorella, che aveva cinqu'anni più di me ogni tanto dava una mano lí all'osteria... che poi 'un era solo un'osteria insomma, c'era anche l'alimentari oltre al ristorante, il bar... un po' di tutto insomma, com'erano i piccoli negozi di allora, i negozi di una volta!
Il mi’ babbo invece era un commerciante, quindi andava spesso in campagna, stava fori, vendeva l'olive... commerciava insomma per farla breve. A scuola si andava sempre lì a Castelnuovo, che c'era solo le elementari però, le medie erano solo a Montalcino ma erano pochi quelli che ci andavano perché i mezzi mica c'erano! Era un lusso, ci andava solo chi era bravissimo e aveva preso magari qualche borsa di studio e ce lo portavano ma vedrai i pullman al tempo non c'erano, o meglio... ce n'era uno la mattina presto e un altro la sera tardi, ma figurati se qualcuno faceva a ‘sto verso!
Insomma sí, io ho preso la quinta elementare e poi ho smesso. Finché poi non arrivò la scuola in televisione, che facevano il programma delle medie, come si chiamava? Maremma sai, ora non mi viene ["Non è mai troppo tardi"].
Dunque poi ci si trasferì e io iniziai a lavora’ che avevo intorno ai tredici anni, al bar a Montalcino, mi ricordo aspettarono a farmi il libretto lavorativo perché ancora quattordici anni ‘un ce l'avevo. Dunque a quattordici anni mi fecero il libretto e da lì ho lavorato fino a che ce la facevo [fino ad un annetto fa].
E è infatti lì al bar che ho conosciuto il tu' nonno [nato il 1943]. Lui lavorava all'alimentari lì accanto e mi inizió a fa la corte, ma fu una corte spietata (ridono). Veniva a compra' le sigarette una alla volta, si fermava a chiacchiera e poi si sentiva il su' babbo che a berci lo chiamava dall'altra parte della strada "Antonioo", tu vedessi che roba...
Poi ci siamo fidanzati e da lì ‘un ci siamo più lasciati. Io al tempo avevo sedici anni, senti, poi quando ne avevo diciannove ci siamo sposati e a ventiquattro avevo già tre figlioli, Giuseppe a venti, Lucia a ventidue e Anna a ventiquattro su per giù.
Ci si sposó sai dove? Nella cappella del monastero di Monte Oliveto, in quella piccina non quella grande tanto grandi feste in famiglia nostra ‘un si so' mai fatte, sempre cerimonie abbastanza umili diciamo. Si andó in viaggio di nozze a Napoli e poi dopo quello io so’ sempre rimasta a Montalcino. Ah no, che dico, andai a Londra per trova' Lucia che s'era trasferita lì, s'ando' io e Anna. Ma insomma, ‘un era questo il discorso...
Dopo sposati ci si trasferì a casa d'Antonio, dove peró s'era no tanti, di più! Perché si fu i primi a sposassi quindi in casa c'erano tutti. C'era Cecilia [la mamma di Antonio], Matilde [la sorella maggiore, che si sposó poco dopo e si trasferì subito a Torino col marito Gianfranco], Annibale Serenella e Claudio [gli altri fratelli]. Il babbo del tu’ nonno no, perché morì sei mesi prima del matrimonio purtroppo, di figli sposati non ne vide. Peró dopo poco venne il nonno del tu’ babbo, perché gli morì la terza moglie (dopo la prima e la seconda) e venne a sta’ in casa con tutti. E in più c'erano i tre cittini, e si stava in una camera tutti e cinque. Era una stanza bella grande ma insomma... Giuseppe e Lucia che erano un po' più grandi dormivano nei lettini a castello e Anna che era appena nata stava nel lettino a gabbietta, vicino al letto nostro.
Insomma s'era in tanti, era un anda’ e rivieni mostruoso, sicché la notte era tutta una risata... se ne svegliava uno poi un altro a rota. Poi c'erano anche i cani, visto che Antonio andava a caccia servivano, pareva un circo guarda! La casa era grande dove si stava ma era un po' disagiata, c'era un gabinetto, raccontaglielo Antonio...
A: C'era un gabinetto che era praticamente fori casa, ricavato da un vecchio lavatoio, c'era il tetto del lavatoio, poi chiuso e ci si fece un bagno dentro. Ma ti poi immagina' che divertimento in quanti s'era. Ma poi pensa, il mi’ nonno, quando s'alzava la mattina per anda' al bagno si doveva infila' il cappotto e il cappello dal freddo che faceva, il cappotto con la pelliccia! (ridono)
V: Ma poi insomma ne succedeva di ogni colore, te ti poi immagina'. Poi Giuseppe era birbo, vivace da piccinino, ce le faceva vede' nere sai. Era il primo di tutti i nipoti quindi li zii lo viziarono ‘un ti dico come, lo sai com'è. E insomma un giorno ci scappò e prese una campanellina che faceva il carillon...
A: La prese e gli cascò dalla finestra.
V: Ma che gli cascó, ce la tiró!
A: Sì insomma la tiró in capo a uno, del coso coatto di Montalcino...un mafioso insomma, "Il Cavataio" si chiamava. E Giuseppe gli tiró in capo sto campanaccio! (ridono)
V: Comunque sì, si stava in ‘sta casa e era tutto un vai e vieni, entra e esci. Pensa, non si toglieva mai la chiave dalla porta, perché tanto a tutte l'ore c'era chi entrava e riusciva per un motivo o per un altro. Sicché la porta stava sempre aperta.
A: Erano altri tempi! Se la chiave la lasciavi alla porta ce la ritrovavi, uno ‘un la perdeva la chiave a quel modo.
V: Poi comunque quando erano piccini i citti, si so’ sentiti male tanto spesso. Le malattie infettive tutte le prendevano, e poi se le passavano vedrai, stando in una stanza sola...Poi Lucia ebbe diversi problemi di salute, Giuseppe pure...e il medico, che veniva da Torrenieri, ogni giorno a fine giornata ci sonava e chiedeva "c'è bisogno di qualcosa oggi?" diceva, capito? Perché tanto c'era sempre qualche cosa che unn andava! Poi ci veniva volentieri, dice "A me a veni’ in questa casa mi pare d'entra' in fattoria!" diceva.
Poi da quella casa ci si divise un po' tutti e noi s'ando' a sta' in una casa vicino a quella perché la casa la venderono.
A: Eh sì, si divise tutta la famiglia. La mi’ mamma e il mi’ nonno tornarono a sta’ in casa in un poggio. C'avevano una casina in campagna e andarono lì.
V: Poi si stette lì per un po', intanto si lavorava tutti e due a bottega, all'alimentari di Antonio. E dopo un po' si comprò quest'altra casa, questa dove si sta ora. Che si dovette ristruttura' in tre volte, perché si ristrutturava una parte, poi finivano i soldi, s'aspettava e se ne ristrutturava un altra. Sai, a Antonio ‘un è mai garbato fa’ i debiti, mai, mai fatti. Si spendeva quel che si aveva e basta, piuttosto s'aspettava. Inizió a fa' un po' di lavori da solo e poi in tre volte si finì. Ci si trasferì e tra tanta gente che entrava e usciva anche da ‘sta casa, tra amici e fidanzati dei figlioli e parenti siamo rimasti qui. Tra bottega e casa, per una vita fino tuttora. Anche noi ci s'ha avuto diversi intrallazzi come famiglia, la mi’ fortuna è stata trova’ Antonio... ‘Un lo volevo di' qui accanto a lui sennò si dà l'arie, però è stato sempre paziente... co' figli, col lavoro, ‘un s'è mai litigato sai. La mi’ mamma lo diceva sempre: "Con tutte le sventure che so’ capitate la gioia più grande è stata vede le mi’ figliole accompagnate co' uomini d'oro".