Stefano Burroni

Intervistato dalla figlia Silvia. Aprile 2023.

Dove sei nato?

Sono nato a Siena, in ospedale, e sono andato ad abitare subito con la famiglia in Via del Mandorlo numero 5, fuori Porta Tufi, nella contrada della Tartuca.

Hai frequentato il Piccolomini?

Ho frequentato il Piccolomini perché essendo la scuola più vicina a casa mi hanno iscritto al Piccolomini. Io ho fatto le scuole elementari là.

Anche le medie?

No le medie no, il primo anno che facevano le medie al Piccolomini fu l’anno che io avrei potuto essermi iscritto, ma i miei hanno deciso di iscrivermi alla San Bernardino, che era centro metri più giù eee.. mi iscrissero alla San Bernardino.

Che mi puoi dire del Piccolomini? Noti qualche cambiamento rispetto alla scuola di adesso?

Beh, io sono arrivato lì che era il 1966,  ci sono ritornato per parlare con i tuoi professori e non ho notato nessun cambiamento, anche perché quell’edificio probabilmente è strutturale e quindi i cambiamenti sai… essendo dei primi dell’'800… è un edificio che è enorme, da quel che mi risulta è l’edificio più grande della città dopo l’ospedale psichiatrico, come dimensioni. È cambiato poco, ci sono dei punti che sono stati…qualche stanza ho notato che hanno cambiato il pavimento però poi le strutture naturalmente sono rimaste quelle che erano.

Io sono sempre stato al piano superiore, nelle aule che entrando erano opposte all’accesso del corridoio, quindi le aule che guardavano verso Porta romana. Le porte sai sono sempre le stesse...

Studiare ti piaceva?

Non studiavo tantissimo, ma andavo volentieri a scuola, ci si divertiva, ero un po’ svogliato nello studio, ehm, riuscivo a raggiungere la media cercando di farmi più voler bene che utilizzare la finalità dello studio, però sono riuscito a diplomarmi, e nonna diceva “ehh devi studiare più tanto, ti devi applicare più tanto, avresti tante possibilità” però poi diceva che ero tanto bravo.

Parlami un po’ dell’ambiente che frequentavi, come passavate il tempo voi ragazzi?

Eh beh, intorno ai Tufi eravamo un gruppo di... sì... una ventina di ragazzi, che solitamente nella zona dei tufi si radunavano presso la chiesa di San Matteo, dove c’era un minimo di ricreazione, con un tavolo da ping pong e c’era questo piazzale grande adibito a partite di calcio continue, che si giocava tutto il giorno, lastricato a mattoni, veniva anche bene ma era sospeso, il pallone finiva sempre nei campi di sotto e quindi era un problema anche andare a riprenderlo. Nel frattempo noi eravamo circa una ventina di persone, della Tartuca forse eravamo complessivamente una quindicina, che poi sai, non tutti poi frequentano sempre, in maniera organica. Poi c’era l’altro gruppo, di Sant’Agostino, quelli stavano lì proprio nella Tartuca, e anche quelli non erano tantissimi, miei coetanei saranno stati sui 25 ragazzi circa ecco, poi allora l’età era importante, 5 anni di differenza facevano quelli più piccoli o quelli più grandi, insomma, e niente, in bicicletta, in motorino, si stava là, ci si frequentava là. Questo ambiente io l’ho frequentato fino a circa 17 anni.

Ti viene in mente qualche episodio particolare di quel periodo?

Mah, episodi particolari non mi vengono in mente, mi ricordo questi inverni freddi arrabbiati perché chiaramente in questa zona adibita a ricreazione, area giochi eccetera, non c’era il riscaldamento sicché si stava lì sigillati, in questo ambiente che era piuttosto grande e aveva anche un piano superiore, dove c’era una specie di teatro, tipo cinema, qualche volte il parroco ha proiettato anche qualche film, qualcosa... però ecco, non aveva molto piacere che andassimo là sopra. E quindi si era sigillato ogni cosa, però mi ricordo insomma degli inverni abbasta freddi però insomma ci permettevano di stare anche al freddo, non avevamo grossi problemi di freddo.

Di vicende particolari mi ricordo qualche incidente in motorino, qualcheduno ogni tanto cascava di bicicletta, qualche sbucciatura ai ginocchi mentre si giocava a pallone, qualche discussione, però insomma…

Facevate tribolare gli adulti intorno a voi?

Ma insomma, non c’era un grosso… una grossa volontà di fare dispetti, insomma anzi non c’era... mi ricordo un aspetto un po’particolare... ci s’era accorti casualmente che c’era dei cavi della luce che passavano abbastanza vicini a questo... a questo piazzale, dove ci affacciavamo, e dalla parte diciamo più rialzata, in qualche modo ci eravamo accorti che tirandoci dei... dei pezzettini, dei fil di ferri o che, facevano delle scintille pazzesche, al che ci si era perfezionati coi pezzettini di mattone in cima e in fondo si lanciavano, ci giravano intorno e si staccava la luce.

No! Addirittura la luce...

Eh! La luce, o comunque si dava interruzione temporanea della luce, e questi fiammate, giù fuoco (ride) quando ci sono ristato tempo addietro, qualche anno fa, ho visto che in un cavo c’è sempre un pezzo di ferro (ride).

In casa invece?

Eh la casa, abitavamo in una casa piuttosto grande, in Via del Mandorlo numero 5 e niente, si stava là. La famiglia era sempre la solita, c’erano nonno Marino, nonna Natalina e nonna Erminia, che era la mamma di nonno Marino, che è sempre stato con lei perché diciamo eh nella famiglia insomma erano tre figli, erano Aladino, Marino e Marina, il primo è stato Aladino, si è sposato e è andato via con la famiglia, Marina è rimasta con Marino, che poi purtroppo è morto, Marina l’anno stesso si è sposata ed è andata anche lei con il su marito e quindi la nonna Erminia è rimasta nel nucleo famiglia originale. E poi ci siamo spostati nel 1978 a Doccino, che era una casa un po’ più piccola di quella che avevamo lì però che aveva caratteristiche più moderne, c’era il riscaldamento che laggiù non c’era e insomma, era un pochino più moderna, più confortevole, più vicina al centro anche se di là le distanze dal centro non erano particolarmente scomode.

Che mi puoi dire invece della contrada?

La frequentazione della contrada avveniva... e si, abbastanza frequentemente, non eravamo tutti lì perché diciamo frequentemente negli anni Settanta ci trovavamo presso la chiesa, il pomeriggio, la notte, dopo cena eccetera, e quindi non sempre, ogni tanto si frequentava anche la Tartuca. All’ora la Tartuca era una contrada piccola, non era una contrada dalle dimensioni di oggi e rispetto alla Chiocciola che era una contrada ben più grande, e insomma complessivamente eravamo quaranta ragazzi ecco, anche la gente non era tanta tanta, non c’erano quelle folle che c’erano oggi. Un aneddoto, una cosa particolare, mi ricordo la cena della prova generale del Palio di luglio nel 1976 eravamo tutti a mangiare sotto il loggiato del Tolomei, perché noi si apparecchiava lì perché almeno se pioveva si mangiava lo stesso, e noi eravamo proprio in fondo, verso Via Pier Andrea Mattioli e con questi ragazzi lì che si era apparecchiato ci venne da dire “mah, se si continua così chissà dove si apparecchia il prossim anno, chissà quanti siamo”. Eravamo 250 persona a cena, ecco per dire che era una cosa molto piccola rispetto a quella di oggi… e poi abbiamo cominciato ad apparecchiare nel prato Sant’Agostino, qualche volta provarono nell’orto dei Tolomei ma insomma con risultati modesti.