Mariagrazia Catocci

Storia raccolta dalla nipote Claudia Secchi.

Mi chiamo Catocci Mariagrazia, sono nata a Castiglione d’Orcia località Giglianello. Eravamo due famiglie, vivevo con i miei genitori e la famiglia del cugino del mi' babbo, eravamo tutti uniti. I miei genitori facevano i contadini, allevavano i vitelli e poi li vendevano, poi vendevano l’olio, gli agnelli li allevavano e poi uno a Pasqua veniva ammazzato per il consumo di casa e quell’altri li vendevano ai macelli. Si mangiava la carne prodotta da noi come polli, conigli, maiali… tutta roba nostra. Qualcosa si comprava anche, la carne per fare il ragù si comprava, tante famiglie non la compravano. Il guadagno era minimo, 10.000 lire al mese forse. In casa la mi nonna e la mi mamma cucinavano. Poi per le feste, per Natale e per Pasqua, veniva la mi zia Anita che era una cuoca, cucinava ai matrimoni e quindi cucinava lei. Anch’io già a 14 anni facevo il sugo, la sfoglia mi facevano fa e la facevo per tutti, mi aveva insegnato nonna.

Raccontami un po’ della tua infanzia.

Noi si giocava con gli altri bambini, dagli 8 ai 10 anni, a palla, a ringuattarello… cioè nascondino. Le femmine c’avevano qualche bambola, ci s’aveva una bambola in tutti. Poi ci s’aveva, che mi ricordi io, delle borsine che ce le regalavano perché ci s’aveva i parenti che vivevano a Torino, a Piombino. Dalle città venivano e ci portavano i regalini, regalini da poco, una volta un tavolincino con le sedie di plastica rosa mi ricordo, io ce l’avevo ma si giocava anche con i sassolini, con la terra si impastava e si fingeva di farci i capanni. Poi nelle feste si giocava parecchio a dama, a briscola… qualche volta andavamo ad annaffiare l’orto.

Avevo un solo amico di scuola perché eravamo della stessa età, poi quell’altri erano più piccini, poi c’erano anche delle ragazze più grandi di quattro, cinque anni più grandi di me. Erano vicini di casa e parenti più che altro. C’era la tosatura delle pecore, venivano portate da due persone che erano uomini spesso, con un cane fino all’Orcia a lava', però all’Orcia quello a Monte Amiata. C’erano dei massi che avevano formato una pozza d’acqua e le pecore ci entravano dentro e si lavavano, gli facevano fa 15 salti in questa pozza e poi ritornavano pulite, le lavavano sempre nei mesi estivi perché sennò d’inverno si sarebbero ammalate, dopo gli tagliavano la lana e le donne coi ferri da calza ci facevano i golfi, le calze per gli uomini per lavorare, le camiciole si chiamavano, le maglie da sotto, poi i guanti… Però quelle magline morbide pizzicavano come lupi! Mi ricordo nonna me la fece una a maniche lunghe per l’inverno perché a quei tempi non c’erano le giacche a vento, c’erano delle giacchettine striminzite e ti ci faceva freddo, s’arrivava a scuola e ci s’aveva tutti i diti rossi dal freddo.

Una tradizione che forse non tutti conoscono, io avevo otto o nove anni, era il periodo intorno Ottobre o Novembre, per i Santi si faceva la scartocciatura del granturco. Il granturco veniva tagliato e tutte le spighe del granturco erano ricoperte di foglie secche, ci si riuniva nelle case in venti più o meno, una sera si scartocciava in un posto, una sera in un altro. La sera dalle sette e mezzo fino anche alle undici e mezzo o mezzanotte. Gli si toglievano queste foglie e rimaneva la spiga del granturco, poi venivano fatte tutte le reste, erano belle… ci volevano le fotografie di quelle cose lì. Queste foglie secche che noi si levava le prendevano, le mettevano tre per volta e le intrecciavano come quando ci si fa la treccia nei capelli, il sistema era quello. Quando l’avevano intrecciate ed erano lunghe un metro le appendevano tutte e il granturco veniva portato al mulino. Era una cosa bella quella perché ci si riuniva tutti, si cantava, eravamo tutti allegri…

La scuola invece?

Io ho fatto tutte le elementari in una scuola di campagna, poi crollava il tetto e ci spostarono da un’altra parte, in un posto che c’era un locale che era della forestale, delle guardie forestali. Ci fecero andare lì e ci si scaldava con la stufa a legna, la mattina s’arrivava e la maestra l’accendeva.

Andavo a scuola a piedi da sola, la neve veniva alta più di un metro ed era quasi più alta di me perché ero piccina. Al tempo mio, che mi ricordi, eravamo 12 o 13, tutte le classi insieme dalla prima alla quinta e la maestra insegnava in questa che era una classe sola, perché erano scuole di campagna che poi nel ’62 furono chiuse tutte. Io ci so andata a cinque anni a scuola ma io ero un’eccezione perché siccome c’andava una ragazza che faceva quinta elementare, io vedevo lei che andava a scuola e ci volevo andare anch’io, quindi le maestre mi presero a cinque anni ed ero bravissima, educatissima e avevo tutti nove e dieci. La maestra mi disse che mi faceva fare l’esame a giugno, però per fammi fa l’esame il mi babbo doveva andare al tribunale di Montepulciano per avere l’autorizzazione ma lui non aveva il mezzo, si doveva raccomandare a questo e quello o prende un noleggiatore e allora disse "tanto lei a scuola ci va volentieri vol dí ripeterà l’anno". Sarei stata in grado di dà quest’esamino per passà in seconda però il mi babbo non ci si volle confonde, non erano mica come ora i genitori di allora, prima ti arrangiavi… dicevano ci sei voluta anda' te mica ti c’ho mandato io.

Poi ho fatto anche le medie a Castiglioni, veniva a prenderci un pullman di linea, che veniva da Abbadia ma non era un pullman per ragazzi, ci portava tutti. Poi dopo in seconda e in terza cominciarono a veni' da Campiglia e dal Vivo ragazzi che avevano diciassette anni e facevano le medie insieme a me, perché prima le medie non c’erano e quando nel ’62 vennero fuori le scuole medie anche ragazzi che avevano finito le elementari diversi anni prima si iscrissero e vennero a scuola a fa la terza media. In classe mia c’erano ragazzi che avevano tre anni più di me, anche di 20 anni e io ce n’avevo 12. Ci s’aveva un libro unico con tutte le materie, storia, geografia, educazione civica… Però non studiavo un granché perché quando s’arrivava a casa, anche a sette e otto anni, ci mandavano nei campi con le pecore anche se io non c’avevo passione né ad anda' con le pecore né ad anda' coi maiali, non mi garbava infatti coi maiali non c’andavo mai. A portare le pecore ci andavo con delle amiche, ci si trovava tutte insieme e si faceva la brigia, s’accendeva il fuoco e si facevano le caldarroste e si mangiavano mentre le pecore andavano a fa i danni nei campi. Non le portavo sempre perché a volte il pomeriggio andavo a fa le ricerche di scuola con i miei compagni, a piedi e con le cartelline, eravamo sempre i soliti quattro.

Dopo la scuola sei andata a lavoro?

Si, il primo lavoro lo feci avevo 15 anni e mezzo in una fabbrica dove cucivano gli impermeabili, allora andavano di moda. Non mi garbava però stare lì in mezzo a quelle donne chiacchierone quindi so andata via. Poi mi capitò di anda' a fa le scarpe da uno, guadagnavo 15.000 lire al mese più o meno e ci stetti nove mesi perché poi loro chiusero. Allora visto che ero rimasta senza lavoro, con i soldi che avevo messo da parte ci comprai la macchina da cucire e cucivo le scarpe in casa. Facevo i campioni, erano scarpe che mettevano nel campionario e le facevano vede alla gente, per un periodo di tempo facevo solo questi però. Mi portavano dei sacchi di scarpe da cuci', erano tomaie, la pelle sopra diciamo e gli venivano messe le fibbie. Mi dava mi pare 500 lire a campione e in un giorno ne potevo fa due o tre perché bisognava sta attenti a falli precisi precisi. I soldi che guadagnavo li tenevo da parte, e poi l’ho usati per quando mi so sposata.”

E durante la tua adolescenza come passavi il tempo?

La vita mi cambiò a me, si stava un pochino meglio. Con gli amici ci si riuniva tutti la domenica, ci si incontrava tutti insieme in questo bar e poi il proprietario di questo bar, noi si chiamava il Biondo, comprò il jukebox negli anni ‘63/’64 e non ce l’avevano nemmeno nei paesi, per noi era come una discoteca dei tempi di oggi. C’aveva un pavimento impiantito a mattonelle dove ci si ballava, i tavoli fuori… noi ci si accontentava di poco. Si mettevano le canzoni di Celentano, Gianni Morandi, Bobby Solo, i Beatles, i Rolling Stones... Poi questo Biondo c’aveva anche la televisione e davano Portobello, il Festival di Sanremo, il Cantagiro che era una manifestazione canora in cui i cantanti con le macchine facevano delle tappe in giro per l’Italia e quando erano abbastanza vicini ci s’andava a vederli, mi ricordo c’era Little Tony, Massimo Ranieri, Mina… Negli anni '70 cominciarono ad esserci le prime macchine, le prime 500. Una volta mi ricordo siamo andati in una 500 in sette persone e s’era quattro dietro e tre davanti, si andò a ballare fino all’una e mezzo e poi entrò uno che ci disse che fuori c’era già la neve alta mezzo metro e noi si disse "ora come si fa", insomma visto che s’era in tanti qualcuno spingeva e in qualche modo s’arrivò a casa ma si videro di tutti i colori.

Poi ogni tanto s’andava alle feste paesane quando c’erano, allora c’era la Festa dell’Unità o la Festa degli Avanzi. Quando ero più piccina che andavo alle elementari avevo pochi vestiti, un cambio solo, e nei gomiti la mi mamma mi ci metteva le toppe perché si rompevano sempre per sta nei banchi, ci venivano i buchi. Poi dal ’68 al ’75 la vita cambiò, c’era più libertà, cambiò la moda, poi molti figli dei contadini si vestivano poco bene invece io non andavo vestita male dopo una certa età.

Io ero moderna, mi piaceva tanto la moda. Compravo la stoffa e poi andavo dalla sarta e mi facevo cucire i vestiti, si chiamava Santina ed era bravissima, lei c’aveva tutti i campionari quindi si sceglieva il modello e gli si portava la stoffa e lei te lo faceva. C’era una borsina marrone di pelle che costava 7.000 lire, mi ci volle quasi mezzo stipendio per comprarla, mi ero innamorata la volli e la comprai e tutti mi chiedevano dove l’avevo comprata. Avevo visto la fotografia in un giornaletto e la cercai uguale.

Com’era l’amore a quei tempi?

Ho conosciuto il mi marito l’ultimo dell’anno del ’68. Lui faceva il militare quando l’ho conosciuto, ci siamo fidanzati nel Settembre del ’69 quando finì il militare. Mentre lui era via ci si sentiva con le lettere, non c’erano mica gli sms. Io avevo 17 anni e lui 21. Ci si conobbe in questo bar, nel suo paese, dove s’era andati a ballare. Lì c’erano dei gruppi di ragazzi tanto bellini, tutti bellini erano. Quella sera di capodanno io ballavo con uno che si chiamava Marino, era bellino ma era troppo timido, insomma sapeva di poco. Verso le 11.30 ci si mise ai tavoli con lo spumante e io ero lì con i miei cugini e invece questo Marino andò a bere con i suoi amici, poi cinque minuti a mezzanotte vidi lui con lo spumante in mano e ci si guardò perché si vede che lo colpii io, lui colpì me e ci si guardò e lui venne con la bottiglia a bere al nostro tavolo e cominciò così. Si fece due balli e poi però era tardi quindi s’andò a letto. Io mi ricordo sempre che avevo questo vestito blu con lo spacchetto e i brillantini nelle maniche, era tanto bellino e tutti me lo dicevano che ero bella. Dopo quattro giorni che era partito per fa il militare mi ricordo che mi arrivò una lettera però subito non gli risposi, gli risposi dopo una settimana e lui nel frattempo me l’aveva scritta un’altra dove diceva che sarebbe ritornato qua. È stato il mio primo ragazzo e ci siamo sposati il 2 di Marzo del 1975, ci siamo sposati in una chiesina e poi s’è fatto il pranzo di nozze in un ristorante ed è finita lì la cerimonia. Saremo state 120 persone.


Mariagrazia Catocci e Alessandro Monaci in un pomeriggio del 1972.