Maestra Donatella
Maestra Donatella (non vuole che sia reso noto il cognome). Intervistata da Joshua Biagi. Aprile 2023.
Maestra si presenti per favore.
Io sono Donatella Io ho 75 anni e ho lavorato nella scuola per quarant’anni, e ne ho visti di tanti di cambiamenti.
Ha sempre insegnato alle elementari?
Sì, sempre alle elementari, però ho fatto praticamente tutti i tipi di scuola, quindi “l’insegnate unica”, ovvero insegnavo tutte le materie, poi sono passata al “tempo pieno”, fino ad arrivare alla compresenza di più insegnanti che agivano ognuna in un campo preciso.
Cos’era il tempo pieno?
Il tempo pieno prevedeva l’entrata a scuola alle 8:30 e l’uscita alle 16.30 per 5 giorni a settimana, con il pranzo incluso e non si davano compiti. Era per l’epoca oltre che un servizio educativo, anche un servizio sociale, perché non sempre i genitori erano a casa per poter guardare i figlioli e non tutti avevano i nonni. Si facevano tante attività che adesso non si possono fare più, perché è diventato tutto una corsa, tipo teatro, spettacoli e tante recite che dopo purtroppo se ne sono andate. Nel tempo pieno siamo passate dall’insegnante unica ad avere due insegnanti, una che si occupava del ramo umanistico e una di quello scientifico. Devi sapere che io non scelsi mai di insegnare matematica, ti spiego perché: le insegnanti non facevano carriera, l’unica cosa che si doveva rispettare era l’anzianità di servizio; quindi, la maestra più anziana aveva il diritto di scegliere che ramo voleva poi esercitare. Appena iniziata la mia carriera trovai un’insegnante più anziana di me, validissima, che insegnava italiano, e quindi io mi ritrovai ad insegnare matematica. Quando sono diventata io la più anziana, e potevo quindi scegliere la materia, non me la sentii di lasciare la matematica e l’ho portata fino al termine della mia carriera.
Nei confronti degli studenti ha notato un cambiamento?
Il rapporto insegnante alunno era un rapporto sempre frontale; c’era nel bambino quel senso di rispetto che rispecchiava anche le gerarchie della famiglia, “signora maestra, guai a te, signora maestra…” Questo era normale, si accettava noi e lo accettavano i bambini; poi piano piano le cose sono cambiate, siamo passate da “signora maestra” a “maestra”, dal “lei” siamo passati al “tu” e poi siamo passati al nome, “maestra Donatella… per me era normale”. Per me è stato piacevole, perché prima quel “signora maestra” poneva un muro, te stai di là e io, maestra, sto di qua. I bambini sono così, è inutile cercare di metterli in una posizione che loro non comprendono nemmeno. Quindi sì, è cambiato, in modo tale che io personalmente mi sentivo più vicina ai bambini, e suppongo che questo sia dovuto anche all’avanzare dell’età; diventando nonna probabilmente ho costruito un rapporto più vero con i bambini.
È cambiato il metodo d’insegnamento?
Sì. Prima non si entrava nella personalità del bambino; “io sono la maestra, tu sei l’alunno e queste sono le cose da fare”. Poi dopo abbiamo iniziato a riflettere su quelle che potevano essere veramente le problematiche degli alunni, anche grazie alla psicologia. Abbiamo iniziato piano piano a scendere da quella cattedra e ci siamo immedesimate di più in quelle che erano le problematiche familiari e sociali. Anche i primi periodi delle immigrazioni ci hanno fatto riflettere molto sull’accoglienza di questi bambini che arrivavano, non conoscevano la lingua, e spesso venivano direttamente dalla guerra. E quindi sì, ci siamo avvicinate di più a tutti quei problemi che non sempre riguardavano solamente la scuola.
Il metodo d’insegnamento ha subito una maggiore individualizzazione?
Senza dubbio. C’è una frase di Don Milani che non ricordo esattamente ma più o meno dice così: “non c’è niente di più ingiusto che considerare uguale chi non lo è”.
Che ruolo ricopriva il gioco?
Prima di gioco non se ne parlava, era tutto teoria; si faceva solo un po’ di ricreazione, poi però abbiamo iniziato ad usare il gioco come strumento per insegnare. Nella matematica è fondamentale: l’abaco, il cambio, le basi, i numeri in colore… Anche se i bambini inizialmente ci facevano le costruzioni, poi imparavano a contare e a raggruppare.
Cosa ne pensa della valutazione?
La valutazione per me è sempre stata un dramma, un vero incubo! Anche perché la matematica non può essere interpretata come un tema d’italiano, la matematica “è… o non è”. Io però ho sempre cercato di valutare il percorso intero, e quindi se davo un 8, un 7 o un 9, non gli davo un valore assoluto, ma lo consideravo secondo il percorso che aveva fatto il bambino. Se te, bambino, parti dal fare “1, 2”, poi “1, 2 e 3” e poi da solo riesci a fare “1,2,3,4,5”, per me è 10. Non me la sono mai sentita di dare valutazioni obbiettive e uguale per tutti, anche perché ogni bambino era diverso, tanti erano emigrati dall’estero e conoscevano a malapena la lingua, le mie quindi erano valutazioni “ad personam” che tenevano conto di tutto il percorso. Le valutazioni non devono essere mai punitive, anche perché non esistono bambini che sono “bighelloni per scelta”, ma c’è sempre dietro qualche problema familiare o sociale.
Qual è il più bel ricordo della sua carriera?
Avevo un ragazzo in particolare, che era in gravissima difficoltà, che doveva fare degli esercizi di pre-scrittura, che consistevano in delle linee dritte e oblique; quando poi finalmente attraverso dei giochini riuscì fare una linea obliqua fu per me una gioia indescrivibile. Questo ragazzino quando arrivò in quinta elementare mi lasciò un biglietto, che conservo ancora oggi, in cui c’era scritto: “maestra devo stare attento perché i miei compagni mi rombano i pennarelli”, questo “rombano” non ho ancora capito se sia rubano o rompono, ma non importa. Vedere che questo ragazzo, arrivato in quinta era riuscito a scrivere una frase in qualche modo comprensibile, quando prima non era in grado di disegnare una linea obliqua, è stata per me una gioia immensa. Oggi la gioia più grande è quando incontro i miei vecchi alunni, ormai tutti grandi, e vedo che si ricordano di me e mi dicono “ciao maestra!”.