Luisella Vagaggini
Intervista di Zoe Ndidi Okpokpo.
Inizierei con il chiederle alcune informazioni personali: nome, luogo e data di nascita.
Buongiorno! Allora, Luisella Vagaggini, Milano, 1-8-1953.
Perché ha scelto di diventare insegnante?
Diciamo pure che l’ho sempre ritenuta la mia vocazione… sempre, sempre.
Per quanti anni è stata professoressa e in che periodo ha insegnato al Liceo delle Scienze Umane di Siena?
Dunque io sono insegnante dal… 1977 e insegnante alle Scienze Umane, che prima si chiamava Liceo della Formazione, dal 2003 circa… io e le date non siamo proprio… [sorridendo].
Che materia insegnava?
Qui alle Scienze Umane lettere, quindi italiano, latino, storia e geografia.
A quante classi insegnava?
Con il quadro orario delle Scienze Umane rarissimamente tre, fino a un massimo di cinque.
Come era il rapporto con i propri allievi e che clima si creava durante le lezioni?
Beh questo dipende dal mio punto di vista o dal punto di vista dei ragazzi; dal mio punto di vista cercavo di essere amichevole ma esigente e il clima cercavo che fosse il più possibile di coinvolgimento, non andava bene che la gente si facesse le sue ecco.
Ha notato cambiamenti riguardo al metodo di insegnamento tra i primi anni e gli ultimi?
Metodo? [breve pausa per pensare] Il cambiamento vero è stato nella qualità del target perché mi rendevo conto che col passare degli anni i ragazzi erano sempre più infantili soprattutto nei rapporti… insegnavo storia gli ultimi anni e i ragazzi mi ascoltavano come se fossi stata la nonna che raccontava le novelle, che non è esattamente quello che si deve fare [ride].
Ha mai avuto alunni col sostegno in classe?
Moltissimi! Ho insegnato anche nel sostegno.
Una volta che è passata ad insegnare la materia, ha potuto contare sull’aiuto da parte di altri docenti durante la lezione?
Ah, si! Anche se le ore del sostegno sono talmente risicate che era difficile avere un collega ad ogni lezione.
Col trascorrere degli anni ha notato differenze anche nel comportamento dei ragazzi?
Più o meno l’ho già detto… preparazione sempre più limitata e un infantilismo accentuato negli ultimi anni. Anche, anche per fare un discorso un pochino più completo, difficoltà di concentrazione, fragilità emotiva…
Restando a livello emotivo gli alunni come affrontavano la scuola?
Dipendeva moltissimo dall’ambiente familiare che è andato peggiorando negli anni, quindi… ehm per esempio, avevano una più bassa tolleranza allo stress per cui un votaccio era la fine del mondo, anche perché a casa i genitori “spazzaneve”, come li chiamano in Inghilterra, tendevano a toglierli di mezzo tutte le difficoltà e non li preparavano poi alle difficoltà reali che ci sono nella vita. Anzi venivano poi a lamentarsi... vabbè [ride].
La classe invece come era organizzata?
Per la disposizione dei banchi, in genere era quella classica, perché diciamo che nei decenni le ho provate tutte… quando la classe è sufficientemente piccola ci si può mettere in cerchio e lo si faceva quando si lavorava in gruppi. In una classe molto grande, numerosa... a parte che, insomma, le classi della Formazione alcune so' talmente piccine che i ragazzi ci stanno ammassati… ma già in una classe grande, se il numero dei ragazzi è alto, si crea comunque una prima e una seconda fila e allora abbiamo perso completamente il senso del lavorare insieme.
Come era in genere il rapporto tra gli alunni all’interno della classe?
Allora… io ho insegnato alle Scienze Umane, ed essendo tutte donne era facile che si creassero delle divisioni anche estremamente violente quindi il nostro lavoro era di cercare di superare le divisioni e addirittura favorire una sorellanza… non era sempre facilissimo [tono più triste].
Tra voi insegnanti c’era sufficiente comunicazione?
Io direi di si, anche se negli anni ho visto crearsi una certa divisione tra i più giovani e noi più grandi. Certo comunicazione quando si insegna in una piccola scuola media come Chiusdino e siamo in macchina insieme ci si parla in continuazione, in una scuola come Siena ci si parla quando istituzionalmente è possibile.
Per quanto riguarda la valutazione come si regolava? Utilizzava lo stesso metodo in tutte le classi in cui insegnava?
Secondo le normative del collegio docenti, c’era una griglia… per il metodo, sicuramente no. Intanto ci sono dei cambiamenti dalla prima alla quinta per forza, poi ovviamente si adattava a seconda delle esigenze della classe.
Gli insegnanti erano organizzati in dipartimenti?
Penso di sì, comunque c’era un dipartimento di Scienze Umane, uno di Economia e Sociologia... ah no poi già c’erano dei dipartimenti fra i tre istituti anche quando ci si trovava in collegi divisi ci si trovava con insegnanti della stessa materia.
Come si trovava con i colleghi?
Eh, diciamo che c’era un rapporto di collaborazione, di richiesta di consigli reciproci, gli ultimi anni i più giovani spesso venivano da noi più anziani a chiedere consigli. Non ho mai avuto particolari scontri se non qualcosa riguardo alle ideologie, non a livello politico ma proprio sull’orientamento pedagogico.
Come veniva gestito il rapporto con le famiglie degli studenti?
Io ho sempre cercato di mantenere una certa qualità, i genitori potevano venire nei giorni addetti, mi potevano eventualmente telefonare o negli ultimi anni mandare una mail quando c’era bisogno e quindi c’erano dei rapporti cosiddetti istituzionali.
Riguardo l’ultima domanda, ha notato cambiamenti durante i vari anni di insegnamento?
Ho notato maggiore infantilità da parte dei genitori, progressivamente [ride].
Quando era insegnante al Piccolomini, la tecnologia come era utilizzata nella scuola?
Signore pietà! [ride] Questa scuola è terribile, perché con le mura spesse il segnale non passa, quindi bisognava ricorrere al segnale via cavo, che non passa lo stesso perché gli spazi sono molto lunghi [ride]. Nell’ultima classe in fondo per esempio la Lim quasi mai funzionava perché c’erano proprio delle barriere concrete, poi una volta non c’era il segnale, una volta c’era il temporale… in una scuola vecchia è un dramma.
Per concludere, un consiglio che darebbe a un insegnante che sta iniziando ora la propria carriera.
Prepararsi, prepararsi, prepararsi per non rischiare di fare figuracce. Considera questo, che io ho un sacco di ragazzini mandati dai loro nonni in amicizia per imparare le cose che il loro insegnante di classe non sa però gli da 9. Mi è venuta una l’anno scorso, per esempio, cui la preside aveva cambiato l’insegnante per disperazione che dava 9 agli studenti ma loro sono arrivati in fondo all’anno e nemmeno sapevano le prime tre declinazioni e quindi disperati, i genitori l’hanno mandata da me per insegnarle come si studia il latino. Quindi per i professori giovani, “ragazzi studiate sennò fate delle figure come il giorno di lavoro”.