Disabilità, autonomia e integrazione

Fonte_ https://www.bollicine.org

Intervista a Sofia Rocchigiani, psicologa che lavora come volontaria nell’associazione “Le Bollicine”. Nello specifico i ragazzi facenti parte di questo progetto condividono insieme una casa chiamata “Casa dolce casa” per imparare a vivere la quotidianità in autonomia. Intervistatrice: Eleonora Sclavi.

Qual è il tuo titolo di studio e perché hai deciso di affacciarti alla realtà della disabilità?

Allora io sono psicologa, ho fatto la triennale in Scienze cognitive a Trento, ho fatto la magistrale in Psicologia clinica e interventi della comunità, mi sto specializzando in psicoterapia nella fascia dell’infanzia, nella fascia 0-5 in particolar modo. Mi sono affacciata al mondo della disabilità perché ho sempre fatto parte del mondo del volontariato, le Bollicine sono sempre state casa per me, alla fine è stato un percorso evolutivo naturale quello di proseguire per questa strada.

Quindi eri già qui prima ancora di iniziare l’università!

Sì, sì sì, io ho sempre fatto volontariato alle Bollicine da quando andavo a scuola, da quando ero molto piccola, quindi hanno segnato proprio il mio percorso.

Ah perfetto…! In cosa consiste allora il progetto di "Casa dolce casa" e qual è il tuo ruolo all’interno di esso?

Il progetto nasce con i fondi della legge 112, che è la legge nazionale sulle autonomie, la legge sul Dopo di noi… è abbastanza complicato. È una legge nazionale con dei fondi regionali, per cui la Regione ha fatto un bando in collaborazione con la società della salute, che è la parte socio-sanitaria che gestisce tutta la parte del servizio sociale che riguarda la disabilità. Negli anni sono uscite varie progettazioni sul dopo di noi. Due anni fa c’è stato il primo bando vero sul cohousing e all’ inizio quando abbiamo letto il bando progettuale abbiamo detto:” Non se ne fa di nulla ahaha, è un passo un po’ grande per tutti, però abbiamo detto vabbè proviamo piano piano…”. Intanto lo abbiamo scritto, poi da quando lo abbiamo scritto a quando siamo partiti è passato un annetto e abbiamo avuto il tempo anche noi per poterlo pensare in modo più strutturato e alla fine siamo partiti. Ora è un anno perché l’8 di gennaio è un anno che siamo qui. Io sono l’educatrice di riferimento quindi sono quella che coordina i rapporti con le famiglie, le dinamiche del gruppo, i rapporti con gli altri operatori, i rapporti anche con le istituzioni quindi anche con gli assistenti sociali con i… non tutti i ragazzi fanno tutto qua dentro Giulia ha un lavoro extra, Matteo ha un lavoro extra quindi i rapporti anche con gli ambienti lavorativi ecco.

Se si dovessero elencare le principali finalità di questo progetto quali dovrebbero essere?

È casa è proprio casa… è come quando tu fai tutte le tue cose fuori e la sera torni a casa, il Romitorio è casa….

Con questo progetto dunque si mirano a migliorare delle qualità che questi ragazzi in realtà già hanno, quali sono le principali attività che vengono fatte in vista di questo scopo?

Allora qui si fanno pochissime attività strutturate quindi te devi pensare a questo posto come un vero spazio casa in cui ci possono essere dei momenti un pochino più strutturati proprio per cercare di riprendere un po’… magari tra un paio d’anni capiterà anche a te di andare fuori con dei coinquilini, e allora ci saranno le dinamiche di gruppo da dover coordinare e gestire…. di vivere con persone che non sono tuoi parenti… Però te lo devi immaginare come se fosse uno spazio domestico e in cui tu vivi la quotidianità, G. (una ragazza che vive in casa) è di là che si riordina l’armadio gli altri sono fuori a fare delle commissioni e io sono qui a parlare con te… non sono fuori con loro perché non hanno bisogno di questo! Poi ci sono dei momenti in cui si sta qui e si pianifica qual è la routine proprio perché il loro modo di funzionare è molto standardizzato, loro funzionano molto per compartimenti stagni, sono molto binari e una routine per loro è fondamentale, per cui anche la lavagna dei compiti li aiuta ad avere uno step da seguire (è una lavagna in cui per ogni giorno vengono scritte le “mansioni” che ogni ragazzo deve fare in casa come cucinare, apparecchiare, stirare…) perché se si ritrovano tanti “momenti morti” loro si perdono e non riescono più ad avere un filo, la nostra presenza qui è più per aiutarli a tenere il segno, poi io magari sto in camera lavoro al computer, faccio riunioni… faccio questo ecco. Poi il lavoro che ti ho fatto vedere, il potenziamento cognitivo [è come un quaderno dove l’operatore scrive dei comandi per vari esercizi alcuni dei quali stimolano la concentrazione, per esempio], si fa una volta ogni 15 giorni un po’ per ritrovarsi tutti insieme perché non capita spesso di trovarsi insieme… perché ognuno ha i suoi impegni, ma come in ogni famiglia… e poi è anche un modo, dal punto di vista cognitivo, per andare a potenziare quelle attività in cui sono un po’ più carenti.

Se pensi all’inizio di questo progetto, ad oggi hai visto dei miglioramenti significativi? Non so se ti viene in mente un esempio, qualcosa che ti ha colpito…

Eh A. prende due autobus per andare a lavoro, due autobus, lui fa il cambio dell’autobus per andare a lavoro!

Prima era una cosa impensabile…

Eh no no infatti, un altro ragazzo va a piedi, lui è anche ipovedente e va a piedi a lavoro. La sera dopo cena loro non ci vogliono quando escono, hanno fatto Capodanno qua e hanno invitato i genitori a casa loro. I genitori ad una certa sono andati via e loro dopo sono usciti da soli, sono andati in piazza senza nemmeno dire niente ai genitori. Mi hanno mandato un messaggio all’ 1.30, io ero fuori con i miei amici: allora noi usciamo si va in piazza. Ci sei? ci vediamo?”. Ah ha va bene!! Alle 4.30 mi hanno mandato un altro messaggio e mi hanno detto:” Noi andiamo a letto!” e io ti dico che dal punto di vista delle autonomie esecutive, tutta la parte della gestione pratica dello spazio casa, siamo arrivati secondo me a un punto in cui più di questo non si può fare. Ora dobbiamo porci altri obiettivi perché dal punto di vista pratico ora siamo al top!

Altri obiettivi come?

Eh per esempio provare ad eliminare quello (la lavagna dove per ogni giorno vengono scritte le “mansioni” che ogni ragazzo deve fare in casa come cucinare, apparecchiare, stirare…) questo sarà difficilissimissimissimo però piano piano ci si può provare a pensare di vedere come toglierla.

Perché il loro “problema” non è non ricordare ma è proprio…

Avere un binario da seguire capito? Perché per esempio se io non sono scritto lì (sulla lavagna) sono libero, non mi preoccupo di dire magari asciugo, perché sono libero, non ho niente da fare e, però, se magari uno dei ragazzi che è scritto lì non è a casa e deve cucinare… infatti hai visto che spesso sono due [nella lavagna quando si tratta di cucinare vengono scritti due ragazzi], però metti che "il luce” [soprannome di un ragazzo facente parte del progetto] non è a casa e deve apparecchiare, non apparecchia nessuno… si fa a buffet, mangiamo con le mani [ride]. Diciamo che manca quell’intuizione e il prossimo passo è questo!

Quali sono state le prime difficoltà che avete dovuto affrontare per raggiungere lo scopo del progetto?

Indubbiamente gli aspetti emotivi sono stati molto faticosi, perché io ti dico anche per noi operatori è stato molto faticoso riuscire a stare in contatto h24 con tutto l’universo emotivo della separazione, perché da una parte c’era questa grandissima voglia da parte nostra di arrivare in fondo perché era un grandissimo obiettivo, un grandissimo traguardo, una grandissima sfida, da parte loro anche, da parte dei genitori pure però c’era un grandissimo salto nel vuoto, una grandissima paura, da parte dei genitori ci sono stati dei tira e molla, delle remate contro. È stato molto difficile contenere tutto questo ci sono stati molti passi falsi, soprattutto all’inizio, per riuscire a trovare la giusta misura. Anche perché non avevamo nulla su cui basarci quindi dovevamo trovare noi la giusta misura…. Non c’era un libro [ride] dove andavi e controllavi cosa diceva l’autore… qual è la linea guida in questi casi?

Le famiglie dei ragazzi quindi hanno sempre creduto in questo progetto o sono state le prime a voler tenere i ragazzi in una realtà domestica e quotidiana e dunque fare un passo indietro?

E’ molto ambivalente, né bianco né nero, perché da una parte c’è il sogno di dire si va, da una parte c’è il fatto di dire io ho passato 30 anni della mia vita con la convinzione che mio figlio o mia figlia passi tutta la vita con me e io ho messo in atto tutta una serie di dinamiche controllanti per cui mio figlio debba in qualche modo dipendere da me perché io so quel è il bene per lui, solo io posso garantire qual è il bene per lui e riuscire a fare convivere queste due istanze è molto faticoso. Io so che razionalmente il bene per lui è che vada via ma di pancia è tanto difficile, soprattutto per una mamma, quando ho tutte queste dinamiche diventa tutto più complicato e allora io non lo faccio apposta, perché non lo faccio apposta, però un pochino i bastoni fra le ruote te le metto.

Oggi si parla molto di inclusione, però, a volte, solo in superficie ritrovandosi spesso di fronte a pregiudizi o stereotipi, vi è mai capitato?

Pregiudizi no, stereotipi sì che son ben diverse le due cose. Magari con loro no però con altre persone che frequentano le palestre di autonomia sì. Magari Io decido di andare per forza a fare colazione fuori, ma per forza, però non ho soldi. E il barista dice: "non importa mi pagherai la prossima volta” oppure… "vabbè te la offro io la colazione” . Però no! Perché a me non lo diresti, a te non lo direbbe, te la farebbe pagare la colazione. Oppure una volta con A. è capitato che non aveva l’abbonamento per l’autobus e il controllore non gli ha detto nulla. A me avrebbe fatto la multa, a te avrebbe fatto la multa e noi gli abbiamo fatto fare la multa. Capito sono piccole cose, piccoli atteggiamenti… perché tanto è cosi non ci puoi far nulla… come un atteggiamento pietistico che chiudi un po’ un occhio.

Quindi più in generale come viene vista la disabilità oggi dalla società?

Allora a Siena si è fatto un grande lavoro, sarà che come associazione siamo molto presenti sul territorio, da tanti anni siamo ben inseriti è stato fatto davvero tanto a livello di inclusione, partecipazione sociale e a livello proprio anche di messaggi comunicativi che vengono mandati a livello di territorio, siamo a buon punto. M. per esempio è stato monturato nella lupa, è stato in piazza. A livello di risposta è tanta roba. Un altro ragazzo down è stato monturato nella selva…

Come ultima domanda, anche se difficile, se ti fosse data a possibilità di lanciare un messaggio nel mondo in riferimento al tema della disabilità, quale sarebbe?

Di far attenzione all’uso delle parole perché le parole sono importanti e vanno usate con senso, che la disabilità è un aggettivo non è un termine sostantivante per cui è persona con disabilità lo dice la convenzione ONU… si deve stare attenti all’uso delle parole.

Intervista a tre ragazzi di nome Matteo, Andrea e Giulia che partecipano al progetto del di "Casa dolce casa".

 

Come ti trovi qui, ti piacciono le attività che fai?

Matteo: Allora mi piace stare insieme e… mmm… e sì stare insieme.

Ok! Se tu dovessi dire la cosa che ti piace di più in assoluto… vengo qui e sono felice perché….?

Matteo: Perché vivo da solo e…

E quindi ti piace fare le cose in autonomia senza un aiuto…

Matteo: si esatto!

Quado sei qui senti di star imparando a fare delle cose nuove oppure no?

Matteo: No… cose nuove.

Sofia Rocchigiani: Per esempio?

Matteo: eh… stirare, cucinare eh.

Prima di venire qui non lo facevi…

Matteo: no ho imparato qua…

Come ti trovi quando vieni qui sei felice?

Andrea: Sì sì sono felice! Perché a me mi piace di più stare in compagnia, andiamo fuori insieme…

Che bello! Mi racconti cosa avete fatto per Capodanno?

Andrea: Allora e prima s’è festeggiato, abbiamo cucinato e poi siamo andati in piazza.

Da soli?

Andrea: Con Matte…

Voi tre?

Andrea: Sì sì sì.

Senti di imparare cose nuove da quando stai qui?

Andrea: Eh le cose nuove…

C’è qualcosa che prima non facevi e che adesso fai?

Andrea: Faccio da solo e quando e quando e quando mi vesto.

Sofia Rocchigiani: perché prima ti vestiva la tua mamma?

Andrea: Eh no no [ride].

Sofia Rocchigiani: Senti Andre ma come ci vai a lavoro ora?

Andrea: E a lavoro ci vo e ci vo con il tram.

Sofia Rocchigiani: Eh prima non ci andavi col tram.

Te invece quando sei qui qual è la cosa che preferisci fare?

Giulia: Preferisco fare le mie cose per esempio anche colorare, guardo il telefono e ascolto la musica che mi piace tanto. Mi piace il rock, il jazz.

Quando arrivi qui senti di star imparando cose nuove? Una cosa che prima non facevi e che adesso fai?

Giulia: Ah ho capito, ho capito, allora fare la spesa.

Ah adesso vai da sola?

Giulia: Si a volte anche con Andrea, con il mio fidanzato… capito?

Ah ho capito e ci sono degli aspetti negativi sul vivere qui?

Matteo: A me la verdura e la frutta.

Sofia Rocchigiani: Secondo me anche rimettere la sveglia vero? [ride]

Per te Andrea?

Andrea: A me a me niente, mi piace tutto…

Sofia Rocchigiani: Raccontate ad Eleonora cosa avete fatto stamani.

Andrea: Siamo stati io e Matte a prendere i biglietti per andare in gita e poi siamo andati a fare colazione al Nannini.

Ah bello! Qual è la vostra giornata tipo?

Matteo: allora comincio io… allora quando mi alzo mi vesto, mi lavo e scendo in cucina e a una certa vado a fare colazione al bar e poi torno in casa, fo la spesa e le cose mie. Ho un hobby di suonare la chitarra e il canto, è la mia giornata libera. In quella impegnata vado a lavoro ad una cantina del vino e mi alzo alle 6 e 45, con i colleghi mi trovo benissimo!

Te Andrea invece?

Andrea: Nella giornata libera vado a vedere la partita del Siena.

E invece quando vai a lavoro?

Andrea: Vo a lavoro e vado a pulire mi piace questo lavoro.

Te Giulia invece?

Giulia: Allora io sono libera il lunedì pomeriggio e martedì e faccio ginnastica e le mie cose.

E invece quando vai a lavoro che fai?

Giulia: Mi sveglio alle 8 poi prima vo in bagno… eh mi lavo le mani. Poi vado qui [in cucina] e preparo la moka e mi apparecchio.

E poi vai a lavoro?

Giulia: No aspetta! pima vado a lavarmi e poi mi vesto e poi qualcuno mi accompagna a lavoro. Di solito mi accompagna Sofia a volte una mia amica che si chiama Arona e poi mi accompagna anche il mio operatore che si chiama Davide.