Agata Zunino
Agata Zunino, studentessa della quinta classe del Liceo Classico presso il "Piccolomini". Intervistata da Agnese Crosti. Aprile 2023.
Ho deciso di intervistarti per indagare sull’esperienza dell’anno all’estero quindi, come prima domanda, volevo chiederti perché e quando hai deciso di intraprendere questo progetto.
Ok, in realtà, ho sempre avuto l’idea di partire per un anno e fare la quarta superiore fuori, diciamo più o meno dalla seconda media. Un’influenza molto grande è stata il fatto che, sia mia mamma che mio zio hanno fatto delle esperienze all’estero con la stessa associazione. Poi anche attraverso i social e altra gente che ne parlava alla fine mi sono decisa sempre di più.
Quindi quali sono stati gli step organizzativi del tuo anno all’estero e a quale agenzia ti sei rivolta?
Mi sono rivolta a Intercultura, della quale adesso sono anche volontaria. Noi abbiamo dovuto fare una selezione che consiste in un test attitudinale-psicologico, poi una visita in famiglia da parte dei volontari e un colloquio da soli per capire chi siamo e cosa ci piace e cose così. Poi, personalmente, non ho dovuto fare nient’altro appare il test d’inglese che è richiesto per andare in alcuni paesi, mentre altre persone come i richiedenti borsa di studio, hanno dovuto fare delle altre cose per poi entrare in graduatoria. Io invece a gennaio ho ricevuto la notizia che avevo vinto il programma annuale negli Stati Uniti e maggio mi è arrivata la comunicazione della famiglia che mi avrebbe ospitato e della città dove sarei stata.
La scuola che frequenti in Italia, quindi il Liceo Classico Piccolomini, ti ha aiutata nel processo di organizzazione? E poi durante l’anno è stato presente per te, informandosi in modo costante dello sviluppo del tuo anno, oppure no?
Allora, per quanto riguarda la scuola, in realtà da tutti i professori ho avuto del supporto, quindi non c’è stato nessuno che mi ha messo i bastoni fra le ruote anche perché credo che adesso sia fondamentale sapere l’inglese quindi penso che anche i prof siano contenti che i ragazzi vadano all’estero. Per quanto riguarda la scuola in sé come istituzione, non mi sono trovata molto bene, però adesso che è cambiato preside ho avuto modo di vedere, che lui è molto, molto più attivo da questo punto di vista e sono molto contenta di questo... perché ho avuto degli intoppi quando sono tornata, riguardo a delle cose burocratiche e il preside mi ha aiutato molto, è stato molto disponibile. Quindi secondo me sicuramente chi partirà, d’ora in poi, avrà una grande mano fa parte dell’istituzione Piccolomini.
In che città sei andata e quale scuola hai frequentato?”
Io sono andata a Chicago, per la precisione a Wilmette che è un sobborgo a Nord di Chicago e ho frequentato la New Trier, è una scuola sicuramente particolare, essendo in una zona abbastanza prosperosa e ricca, avevamo tantissime possibilità.
Quali sono state le differenze principali che hai notato fra il sistema scolastico italiano e quello americano?
Sicuramente, una cosa è l’orario, andavo a scuola dalle 8:20 alle 15:20 e le mie classi duravano 80 minuti, quindi ogni 45 minuti ne avevamo 5 di pausa... all’inizio è stato sicuramente difficile mantenere la concentrazione per un’ora e mezza sulla stessa cosa ma poi, mi sono abituata ed è diventato più tranquillo. Invece un’altra grande differenza sicuramente è il rapporto professore studente, là vedi che i professori sono proprio al servizio dello studente, c’è un’altra mentalità, il professore vuole aiutarti, sa che deve e vuole aiutarti, fa di tutto farlo, nella scuola dove ero io c’erano anche degli assistenti scolastici come psicologo o semplicemente delle persone di riferimento dalle quali potevi andar se avevi di problemi, si chiamavano lavoratori sociali. Quindi ho visto in generale molta più attenzione verso lo studente e la sua salute mentale, sono molto attenti a non stressare gli studenti etc. Purtroppo secondo me questa cosa viene scambiata, soprattutto in Italia con lo stereotipo :”Ah, in America a scuola non fanno niente”. Mentre semplicemente c’è un’attenzione maggiore verso la salute mentale, vogliono che lo studente sia tranquillo abbia del tempo libero e che non debba pensare solo alla scuola.
Alla luce di questo, hai mai rimpianto il sistema scolastico italiano mentre eri là oppure eri completamente a tuo agio?
No, ero completamente a mio agio non ho mai rimpianto la scuola italiana, proprio perché appunto con i professori c’era un rapporto veramente stretto, amichevole.
Entrando più nel particolare, si sente spesso dire che il rapporto tra sport e scuola lega anche le famiglie dei ragazzi che appunto la frequentano, tu come ti sei trovata riguardo a questo? Sia sul lato sportivo, sia su quello di collaborazione scuola-famiglia?
Sul lato sportivo devo dire che, sì, gli americani danno davvero tanta importanza allo sport e secondo me questa cosa si vede anche nel fatto che si supportano molto a vicenda, in tutto, nella scuola, nella vita, negli sport appunto, anche in classe per esempio, se c’è qualcosa che non ti riesce sono tutti pronti ad aiutarti, qualsiasi cosa sia, sono molto supportivi.
Per quanto riguarda invece la mia esperienza personale con lo sport purtroppo io e l’altra ragazza italiana che era lì con me, non abbiamo potuto fare più di tanto se non appunto la classe normale di sport, perché la nostra era una scuola con tutte le squadre a livello competitivo, se non avevi esperienza in uno sport in particolare non potevi entrar a far parte di una squadra.
Questa cosa ci è dispiaciuta però insomma, altri studenti Exchange di origine tedesca hanno partecipato perché già in Germania facevano tennis e danza, quindi loro sono entrati a far parte dei rispettivi teams. Per quanto riguarda poi il rapporto con la famiglia, anche quello è connesso allo sport quindi fa a tutti piacere partecipare.”
A livello extra scolastico hai partecipato a delle iniziative o attività proposte dalla scuola, se si, che stampo avevano?
Le prime due che mi vengono in mente sono sicuramente un progetto che facevano tutte le classi a turno, lo abbiamo fatto per tutto l’anno, a me è toccato a marzo.
C’era questo club a scuola, che era molto importante in tutta la zona di Chicago, dove dei volontari costruiscono delle case che poi mettono a basso prezzo e così le persone che non possono permettersi una casa normale, prendono quelle costruite dal club.
Io con la mia classe, siamo andate una giornata là, a noi per esempio è toccato verniciare, controllare gli infissi delle finestre e abbiamo poi attaccato le porte. Questo secondo me è un progetto molto, molto bello promosso completamente dalla scuola, è stato toccante da un certo punto di vista sapere di far del bene alla comunità in questo modo.
L’altro progetto che mi viene in mente era individuale, una specie di alternanza scuola-lavoro, abbiamo avuto questa opportunità tutti noi senior, ragazzi dell’ultimo anno, chi voleva, poteva scegliere un qualsiasi ambito di interesse e lavorarci per un mese, molti ragazzi hanno scelto la musica, economia, fotografia...
Dovevamo presentare la nostra proposta, controllarla con la signora che si occupava di questa cosa e poi la proposta veniva accettata. Io ho scelto di collaborare con i vigili del fuoco di Wilmette e di Winnetka che è la cittadina accanto, quindi per un mese, tre volte alla settimana andavo alla stazione di Wilmette e due volte a quella di Winnetka.
Il motivo per cui ho scelto vigili del fuoco è che loro sono anche paramedici, quando sono andata lì loro sapevano che ero più interessata al lato paramedico, più che a quello classico dei vigili del fuoco.
Ho imparato veramente tantissime cose stando lì cinque o sei ore al giorno, mi sono sentita parte di loro ad un certo punto, mi hanno proprio presa con loro. Penso che questa sia stata la migliore opportunità che abbia avuto durante il mio anno all’estero. Dal punto di vista scolastico noi avevamo un tot. di ore che dovevamo raggiungere e alla fine delle quali abbiamo fatto tutti una presentazione su la nostra esperienza, e infine abbiamo organizzato una specie di mostra dove ognuno parlava della propria esperienza, di quello che aveva fatto e imparato.”
Com’è stata l’ospitalità, ti sei sentita accolta dai tuoi compagni americani oppure hai trovato che fosse un’ospitalità “costruita” sul fatto che oltre a te ci fossero altri studenti Exchange?
Una cosa che ci hanno detto i volontari Intercultura lì in America e che io ripeto spesso anche ai ragazzi che stanno facendo le selezioni per partire l’anno prossimo, è che per quanto riguarda gli americani bisogna vederli secondo il paragone"pesca-cocco”, cioè dal punto di vista sociale gli americani sono un po' come il cocco, è difficile entrare a far parte di un gruppo perché loro sono molto abitudinari, hanno il loro gruppo di amici con cui fanno le solite cose, sono tutti amichevoli però per entrare a far parte di un gruppo è difficile ma una volta che ci sei dentro, ci sei davvero.
Invece noi italiani siamo più malleabili, abbiamo tanti amici, tanti gruppi di amici, e all’inizio quindi sicuramente è stato bello perché erano tutti interessati a noi, ma poi c’è stato quel momento molto difficile, di realizzazione, come penso tutti quanti abbiano avuto, in cui ti senti un po' perso, perché dici “ok, ma io voglio fare amicizia per davvero”. Ma poi per fortuna ho trovato questo gruppo e lì ho capito davvero cosa volesse dire il paragone “cocco-pesca”, loro una volta entrata nel loro gruppo mi hanno coinvolta nel 100% delle cose che facevano, era veramente un rapporto molto intenso, molto stretto, quindi alla fine mi sono sentita molto ben accolta.
Dal punto di vista dell’organizzazione scolastica invece, tipo la scelta dei corsi, qual è stato il tuo criterio di scelta e visto che in Italia questa possibilità non c’è?
Il mio criterio è stato molto semplice, ho pensato “Ho la fortuna di essere capitata in una scuola con tantissime opportunità, tantissime classi diverse. Quindi è il momento per fare quello che mi piace davvero” per quanto mi piaccia il Liceo Classico, io so che il latino, il greco e la filosofia non sono quello che voglio fare da grande; quindi ho scelto in base a quello che mi piaceva, che volevo approfondire e a quello che mi veniva consigliato anche dalle mie sorelle ospitanti.
Ho scelto medicina dello sport, letteratura e film, fotografia, geografia… quindi, tutte cose che facevano semplicemente parte dei miei interessi e secondo me si è rivelata una scelta vincente.
Perché così in un anno, ho imparato anche tanto studiando cose che mi interessavano, ero attenta e coinvolta.
Bene, quindi tirando un po' le fila di questo discorso, su una scala da 1 a 10 nella quale "1” equivale a “non la rifarei, non è stato formativa” e “10” a “la rifarei assolutamente, è stata molto formativa”, come valuti la tua esperienza?”
10, sicuramente, senza dubbio. Io penso che, chiunque parli con una persona che è stata o che è un Exchange Students, sappia che comunque di per sé l’anno all’estero non è una cosa facile, soprattutto dal secondo mese al terzo o quarto, la parte di ottobre, novembre e dicembre è sempre per tutti e secondo me questo è proprio il bello.
Io sono convinta che senza quei mesi in cui mi sono fatta tante domande e ho avuto tanti dubbi, non sarei mai tornata a giugno cambiata per davvero. Se avessi vissuto soltanto gli ultimi mesi nei quali sono stata benissimo, facevo un sacco di cose... ormai mi ero ambientata, mi ero fatta degli amici, di fatto una nuova vita; è effettivamente la parte divertente. Ma la parte veramente importante è la prima, la parte che ti forma, ti fa rafforzare come persona.
Io ho capito stando là chi sono cosa voglio essere e come fare a diventare quello che voglio essere e come fare per migliorarmi, quindi ho acquisito molta più consapevolezza di me stessa e del mondo che mi sta attorno, delle altre persone.”
Quindi pensi che è un’esperienza che tutti prima o poi in un modo o in un altro, sarebbe bene che riuscissero a fare?
Sì, assolutamente, una persona mi ha detto che l’anno all’estero non è una cosa intelligente, e che sarebbe stato meglio fare l’Erasmus una volta all’università, e secondo me ha torto, perché sono due cose diverse seppur entrambi le esperienze ti formano sicuramente tantissimo.
L’anno all’estero ha di diverso semplicemente il fatto che vivi con una famiglia ospitante e sei “piccolo”, hai 16/17 anni.
Però in generale io consiglio a chiunque di fare qualcosa all’estero alla fine, che sia Erasmus, anno all’estero, semestre all’estero, qualsiasi cosa, perché secondo me aiuta, aiuta tanto.